mercoledì 19 maggio 2010

Male la Banca a fine marzo


Ancora assente il promesso rilancio degli utili

I risultati del primo trimestre 2010 presentati dalla Banca non hanno purtroppo segnato quello “scatto di reni” che era stato annunciato in assemblea e che avrebbe dovuto assicurare un pronto ritorno ad utili consistenti e quindi al pagamento dei dividendi ai soci. L’utile di periodo si è infatti fermato a 142,2 milioni contro i 301 milioni ottenuti nello stesso trimestre del 2009 nel quale, si affretta a precisare la Banca, erano compresi 194 milioni di plusvalenze derivanti da vendite. Il messaggio che viene lanciato al mercato è che l’utile sarebbe pertanto migliorato nonostante il suo dimezzamento, ma resta il fatto che, se le tendenze degli altri trimestri confermeranno quelle dello scorso anno, sarà ben difficile riuscire a replicare il pur modesto risultato del 2009.
E’ evidente che, per ottenere quel ritorno ai dividendi che il Presidente della Fondazione ha definito irrinunciabile, bisogna sperare soprattutto sull’effettivo verificarsi delle vendite annunciate da tempo, cioè il pacchetto di filiali il cui passaggio a Intesa è stato sospeso fino a settembre, gli eventuali ulteriori filiali da cedere ad altri compratori ancora da individuare, oppure la vendita dell’intero patrimonio immobiliare anch’essa già annunciata e poi sospesa dall’autorità di vigilanza.
Tornando al bilancio trimestrale, anche in questa occasione vengono enfatizzati successi su aspetti che finora non sono stati sufficienti a produrre risultati positivi: contenimento dei costi, soprattutto sul fronte del personale, e leggeri aumenti del lavoro e dei ricavi, secondo una costante riassumibile nell’espressione “lavoriamo un po’ di più per guadagnare di meno”. In parte, purtroppo, anche questi “successi” vengono ottenuti ricorrendo a degli “imbellettamenti” che possono sfuggire ad osservatori disattenti. Per esempio, dice il comunicato che “il totale dei ricavi cresce del 4,2% rispetto al 4°Q09 ma si pone in calo del 4% a/a”. Che significa? Semplicemente che i ricavi del primo trimestre 2010 sono aumentati rispetto all’ultimo trimestre del 2009 (il “4° Q09” appunto, cioè il periodo più negativo dello scorso anno) ma sono diminuiti rispetto allo primo trimestre del 2009 (“a/a” nel comunicato) cioè rispetto al periodo sul quale andrebbero correttamente fatti i raffronti e che ci fornisce ulteriori dati negativi. Vediamo infatti che è calato sia il margine finanziario e assicurativo, sia quello di intermediazione primario e, se le commissioni aumentano di 12 milioni, il margine d’interesse cala di 42 milioni.
Siamo noi a vedere il bicchiere mezzo vuoto? Non crediamo, visto che i mercati hanno accolto il bilancio trimestrale con una ennesima scivolata della quotazione dell’azione Monte.

Quei preziosi clienti da coccolare!



“Volumi commerciali e quote di mercato in crescita, acquisiti più di 20.000 nuovi clienti”. Questa è una delle espressioni più in mostra del comunicato stampa con il quale il Montepaschi ha reso noti i risultati del primo trimestre di quest’anno.
Ma, ci siamo domandati, 20.000 nuovi clienti sono tanti o pochi? Il calcolo, pur all’ingrosso, è molto semplice anche per un bambino ai primi rudimenti matematici: 20.000 nuovi clienti divisi per le 3.000 filiali del gruppo Monte fanno 6,6 nuovi clienti a filiale che, di primo acchito, possono sembrare tanti per lo sportello, ad esempio, di Pianella e un po’ pochini per lo sportello centrale di Firenze o di Roma. Poi ci ricordiamo che stiamo parlando di un trimestre, cioè di circa 13 settimane che, per 5 giorni lavorativi, fanno un totale di 65 giornate lavorate. Il conteggio è terminato: 65 giorni per fare 6,5 nuovi clienti ci dicono che una media filiale del terzo gruppo bancario italiano (il Monte appunto) riesce a conquistare un nuovo cliente ogni 10 giorni. Immaginiamo con quante “feste” è stato accolto ciascuno di questi nuovi clienti. E vogliamo sperare che l’assenza di notizie sui clienti persi nello stesso periodo dipenda dall’inconsistenza di questo dato.

Il Monte ama le Società di Gestione

In una fase di mercato in forte movimento a soffrire di più sono quelle Sgr (società di gestione dei risparmi) che non riescono a difendere i “fondi” gestiti moderando le perdite e cogliendo le opportunità; tra queste è particolarmente negativo il caso della Total Return Sgr, partecipata per l’11,25% da Mps Investiments. L’inserto Plus del Sole 24 Ore nota che la Banca senese è presente anche in altre quattro Sgr, con una quota importante 8il 33%) in Prima Sgr, il 45% in Fabbrica Immobiliare, il 100% in Mps Venture e il 29% in Sviluppo Imprese Centro Italia. “Tante società di gestione con altrettanti centri di costo” osserva il quotidiano finanziario.

I compensi in Fondazione

Finalmente qualche dato ufficiale

Si era molto parlato degli “incrementi Istat” che gli organi amministrativi della Fondazione si erano assegnati e, da parte di Zoom, avevamo notato che in quel dibattito intorno agli aumenti mancava all’appello un importante dato di partenza, cioè la consistenza di partenza di quei trattamenti che avevano in effetti avuto soltanto un precedente ritocco da quando erano stati fissati all’inizio della Presidenza Mussari. Ora ha provveduto Il Sole 24 Ore a colmare quel vuoto informativo spulciando i bilanci delle 25 fondazioni bancarie (su 88) che li hanno già messi a disposizione. Il quotidiano finanziario ha anche segnalato numerosi casi di riduzione dei compensi in presenza della situazione di crisi: -18% per il segretario generale del Sanpaolo e, soprattutto, il caso della Cariplo (ex Province Lombarde) dove i consiglieri di amministrazione hanno rinunciato a metà del compenso fisso e, su base volontaria, a metà dei gettoni di presenza ottenendo un risparmio complessivo del 27%.
Nella tabella da noi estrapolata vengono elencate le cinque fondazioni con i compensi più elevati che, sostanzialmente, sono anche le più importanti. E finalmente vediamo come si tratta la nostra Fondazione.

Fondazione: mi si è ristretto il bilancio!


Dal comunicato stampa della Fondazione riguardo al bilancio del 2009 si apprendono dei dati che a un lettore frettoloso possono apparire irrilevanti e che sono invece la fotografia di un dramma annunciato. Prendiamone soltanto tre fra quelli più pesanti e che ci servono a capire quanto e da cosa sta oggi guadagnando la Fondazione.
Che dai dividendi delle azioni Monte nel 2009 sarebbe arrivato poco già si sapeva da tempo: la voce “dividendi e proventi assimilati” indica un’entrata di 65,5 milioni contro i 420,2 dell’anno precedente (e contro il quasi nulla che avremo nell’anno in corso). Senza commento!
Ma anche la voce “interessi e proventi assimilati” si dimezza passando dai 45,5 milioni del 2008 ai 27,3 del 2009. Ci viene inoltre fornito il dato di quanto hanno reso le “gestioni patrimoniali”: 5,8 milioni contro i 74,8 dell’anno precedente. Viene solo da domandare a Mancini, agli altri amministratori e a coloro che li hanno nominati: “Ma è tutto qua il rendimento di un patrimonio investito che si afferma ammonti ad oltre 6 miliardi di euro?”.

giovedì 6 maggio 2010

Ceccuzzi e l’anima gemella


Era il 9 novembre del 2007, era stato appena annunciato l’avvenuto accordo per l’acquisto di Antonveneta da parte della banca senese e l’azione Monte veniva sospesa dalla quotazione per “eccesso di ribasso” (crollo del 10,56%, con il 6% del capitale passato di mano ed il titolo che si fermò a 3,734 euro), quando l’on. Ceccuzzi, membro della Commissione Finanze della Camera, pur essendo stato colto di sorpresa come tutti (almeno così è sempre stato affermato da Mussari e Mancini) diramò immediatamente un soddisfatto comunicato dal titolo “Banca MPS con Antonveneta ha trovato la sua anima gemella". In esso si affermava, tra l’altro, che “sono due realtà che hanno grandi potenzialità di sviluppo e che possono integrarsi al meglio con grande vantaggio per gli azionisti e per la clientela”.
Visto che, ad oltre due anni di distanza, gli azionisti hanno avuto ben altro che vantaggi (l’azione che naviga intorno a 1,1 euro e i dividendi azzerati) resterebbe il dubbio che l’uscita di Ceccuzzi fosse stata il frutto di un improvviso entusiasmo poco meditato. Ma non è così!
Dopo pochi giorni infatti, il 14 novembre, Ceccuzzi ribadiva la sua soddisfazione pubblicando sul suo sito i dati di dettaglio dell’operazione e le numerose dichiarazioni di quel mondo bancario che, senza tirar fuori un euro, era stato liberato della scomoda concorrenza di un colosso internazionale come il Banco di Santander, venditore di un’Antonveneta che doveva ancora rilevare dal proprietario ABN Amro Bank versando poco più di 6 miliardi di euro contro i 10 ottenuti dal Monte.
Ceccuzzi, peraltro, non assumeva in tal modo una posizione scomoda, anzi. Le istituzioni elettive senesi, la Fondazione, soci del Monte come Caltagirone, l’allora premier Prodi ed anche l’opposizione, non ebbero nulla da eccepire e le poche perplessità avanzate da alcuni analisti e, a Siena, dalle Liste Civiche, furono guardate con sufficienza. Anche in seguito, quando divennero chiari i pesanti effetti sulla solidità patrimoniale della banca e sui rischi per la Fondazione, l’operazione Antonveneta è rimasta un tabù intoccabile, da decantare in ogni occasione, tanto da essere apprezzata anche, in occasione del rinnovo delle nomine in Fondazione, nel documento votato sia dal centrosinistra che dal Pdl. In tutta questa vicenda di ubriacatura collettiva, ora che la cruda realtà diventa ogni giorno più evidente, vogliamo almeno dare merito a Ceccuzzi della sua coerenza, per non aver ancora oscurato sul suo sito quelle sue improvvide dichiarazioni.

Mussari e la vendetta delle parole

Il bilancio approvato nell’assemblea del Monte del 27/4 ha dato l’impressione ai presenti che non fosse del tutto condiviso dagli stessi autori, che hanno fatto tutto il possibile per farlo scivolare via senza tanti clamori. Nessuno degli abituali collegamenti televisivi con gli uffici interni, poche notizie sui giornali locali e nazionali. Eppure motivi di interesse ce ne erano e molti a partire dal fatto che per la prima volta nella storia del Monte Spa non sono stati distribuiti i dividendi. Durante l’assemblea sono state facilmente notate le numerose gomitate, non metaforiche, che il Presidente Mussari ha dato al Direttore Vigni oltre ai modi poco urbani con cui l’ha apostrofato rientrando da una breve assenza motivata da un improvviso “bisogno corporale”.
Mentre scorrevano gli interventi, consideravo la gran quantità di parole che vengono usate in queste circostanze, in gran parte destinate a cadere nell’oblio e a come sarebbe invece divertente ripescare quelle delle occasioni precedenti e metterle al centro della discussione attuale.
Ma si ricorda, il Presidente Mussari, di quando aveva detto, nell’aprile 2007, che Antonveneta era troppo cara e non poteva essere comprata? O quando affermò che con gli utili prodotti dalla banca veneta avrebbe pagato l’indebitamento al seguito di un acquisto fatto senza mezzi economici? O quando ha affermato che non esisteva nessun coinvolgimento della banca senese in Eutelia, salvo poi scoprire dalle comunicazioni Consob che il Monte ne deteneva in pegno una quota delle azioni? Ma la vera perla era stata l’eccitata affermazione che, se avesse fallito gli obbiettivi da lui stessi dichiarati, si sarebbe dimesso da Presidente. A questo riguardo, dovrebbe ricordare che già l’anno precedente, il 2008, il bilancio è stato chiuso con una perdita prima delle imposte, che ora non ha distribuito dividendi, che dopo l’acquisto di Antonveneta si sono assunti oltre 5 miliardi di nuovi debiti a tassi elevati e che altri 1,9 miliardi sono stati attinti dai Tremonti bond (unica tra le grandi banche ad utilizzarli) ad un tasso dell’8,5%. Con la crisi di Grecia, Portogallo e forse della Spagna, i risultati che si promette verranno prodotti dalla banca rischiano di restare dei sogni privi di fondamento, come pure la previsione dichiarata di restituire i Tremonti bond entro il 2013. Senza aggiungere altro, che pure non mancherebbe, il Presidente avrebbe sufficienti motivi per sentirsi in dovere di essere coerente con le sue stesse parole, dimettendosi. Potrà così proclamarsi un uomo che mantiene le promesse e le parole avranno riacquistato il senso che meritano.
Azazel

La mozzarella scomparsa


Nell’assemblea dei soci dell’anno scorso lasciò piuttosto interdetti l’intervento di un piccolo azionista, residente nella nostra provincia, che aveva detto, in sostanza: “Vede Presidente, io con i dividendi delle azioni Monte ci campo, ma sono un anziano con poche esigenze e la sera mi basta una mozzarella per cenare. Ora ho visto che il dividendo si è dimezzato e che dovrò quindi cenare con mezza mozzarella, ma non me ne lamento, perché ho qui sentito che anche Lei si dimezzerà i compensi!”. Sembrò, anche a noi, un intervento estemporaneo e forse eccessivamente ossequioso verso il vertice montepaschino, ma dobbiamo ora riconoscere che ci eravamo sbagliati. Nell’ultima assemblea quel socio è infatti intervenuto di nuovo e il tono è sembrato molto meno conciliante. “Anche se sono un piccolo azionista, io posseggo 260.000 azioni Monte e, un tempo, con gli interessi ci vivevo bene tutto l’anno. L’anno scorso, incassando la metà del solito, Le dissi, Presidente, che per me non era un problema cenare con solo mezza mozzarella. Ma quest’anno, mentre Lei continua a prendere i soliti compensi, la mozzarella in tavola non ce la posso più mettere perché i dividendi si sono azzerati. Come pensa di risolvere il mio problema?”. Inutile dire che, su questo ragionamento, la replica del Presidente Mussari non ha potuto che sorvolare.

mercoledì 5 maggio 2010

Antonio Vigni si è confuso


Tra i vari interventi nell’assemblea di bilancio, ve ne sono stati alcuni che si sono soffermati sul problema degli enormi interessi che la Banca si trova a dover pagare per i numerosi debiti che ha contratto e che vanno ben oltre il miliardo e 900 milioni di euro attinti dai Tremonti bond ad un tasso dell’8,5%. Nel periodo successivo all’acquisto di Antonveneta, che il Monte ha affrontato senza avere le necessarie disponibilità, è stato notato che le emissioni da parte del Monte di “strumenti ibridi e passività subordinate” sono cresciute di 5,36 miliardi comportando un carico di nuovi interessi che, ad un tasso medio “probabilmente di circa il 6%”, dovrebbe superare i 300 milioni annui. Il Direttore Generale Vigni, nella sua replica, ha contestato tali dati dichiarando che il tasso medio di questi debiti è, precisamente, del 4,61%. Ora, è vero che anche con questo tasso più contenuto gli interessi annui sfiorano i 250 milioni di euro, ma i dati che vengono forniti in una assemblea, specialmente se provengono dal direttore generale, non possono mai essere approssimati. Abbiamo quindi effettuato un controllo risommando tutti i debiti di cui sopra contratti dopo l’Antonveneta e applicato i tassi indicati in bilancio. Risultato: possiamo affermare con certezza che tali debiti assommano a 5,360 miliardi, che il tasso medio è del 5,75% e che gli interessi annui sono di conseguenza 307,95 milioni di euro. Sicuramente il Dr. Vigni deve aver equivocato sulla natura dei debiti di cui si stava parlando.

I perché dei malesseri del Monte

I perché dei malesseri del Monte
L’assemblea dei soci del Monte del 27 aprile ha messo ancor più in luce la situazione che la Banca sta vivendo ed i motivi, specifici e che vanno ben oltre la crisi generale dell’economia, che l’hanno prodotta.
E’ noto che la banca è matrimonialmente debole, tanto che ha dovuto ricorrere a 1,9 miliardi di Tremonti bond, che “lavora di più ma guadagna di meno”, che riesce a ridurre le spese solo sul fronte del costo del personale (con massicci esodi), che ha scarse prospettive di superare rapidamente i suoi problemi se non tornando a rivolgersi al mercato emettendo obbligazioni convertibili o azioni che provocherebbero la perdita del controllo da parte della Fondazione. Gli analisti lo sanno bene, tanto che il valore di borsa del titolo Monte ne risente pesantemente e va peggio di quello delle altre grandi banche. Ma anche gli utili soffrono e, se lo scorso anno i dividendi sono stati sensibilmente ridotti, quest’anno sono del tutto scomparsi, con gravi effetti sulla nostra comunità
Il problema principale, come hanno illustrato alcuni interventi in assemblea, deriva dalle scelte che, da quando la banca è diventata Spa, sono state compiute dal vertice della banca, con l’assenso interessato dei soci, della Fondazione, delle istituzioni locali e delle forze politiche che le governano o che ne hanno assecondato le scelte.
La situazione attuale è il frutto anzitutto dei troppi anni in cui i soci si sono famelicamente distribuiti enormi dividendi provenienti da utili che sono stati prodotti attingendo alle riserve, lesinando sugli accantonamenti, profittando delle plusvalenze delle dismissioni o addirittura, lo scorso anno, distribuendo i benefici fiscali. Un comportamento avido che, per certi versi, ci accomuna alle altre imprese bancarie, ma che ora viene censurato dalle autorità di vigilanza per la pericolosità di un indebolimento patrimoniale in presenza della situazione di crisi. Nel caso del Monte, l’indebolimento lo ha anche costretto ad affrontare l’acquisto Antonveneta senza avere risorse proprie, ricorrendo ad un aumento di capitale di ben 5 miliardi e a debiti i cui interessi cominciano a pesare sui risultati economici.
Tra chi detiene il potere di decidere, non emerge alcuna autocritica né una consapevolezza della vera portata dei problemi e le voci preoccupate, politicamente ancora limitate alle Liste Civiche ed alla Lega Nord, sono ancora occultate per quanto possibile. Anche l’intervento in assemblea del Presidente Mancini, che per la prima volta non ha evitato i crudi dati e ha fatto capire che risultati come quelli del 2009 saranno inaccettabili nel futuro, invitando a migliorare la redditività ed il rapporto con la clientela, è stato accolto con malcelato fastidio. I sindacati del Monte l’hanno addirittura trattato come un socio esoso, attento solo al guadagno immediato e che si occupa di ciò che non gli compete. Della serie: guai a disturbare il manovratore.