mercoledì 5 maggio 2010

I perché dei malesseri del Monte

I perché dei malesseri del Monte
L’assemblea dei soci del Monte del 27 aprile ha messo ancor più in luce la situazione che la Banca sta vivendo ed i motivi, specifici e che vanno ben oltre la crisi generale dell’economia, che l’hanno prodotta.
E’ noto che la banca è matrimonialmente debole, tanto che ha dovuto ricorrere a 1,9 miliardi di Tremonti bond, che “lavora di più ma guadagna di meno”, che riesce a ridurre le spese solo sul fronte del costo del personale (con massicci esodi), che ha scarse prospettive di superare rapidamente i suoi problemi se non tornando a rivolgersi al mercato emettendo obbligazioni convertibili o azioni che provocherebbero la perdita del controllo da parte della Fondazione. Gli analisti lo sanno bene, tanto che il valore di borsa del titolo Monte ne risente pesantemente e va peggio di quello delle altre grandi banche. Ma anche gli utili soffrono e, se lo scorso anno i dividendi sono stati sensibilmente ridotti, quest’anno sono del tutto scomparsi, con gravi effetti sulla nostra comunità
Il problema principale, come hanno illustrato alcuni interventi in assemblea, deriva dalle scelte che, da quando la banca è diventata Spa, sono state compiute dal vertice della banca, con l’assenso interessato dei soci, della Fondazione, delle istituzioni locali e delle forze politiche che le governano o che ne hanno assecondato le scelte.
La situazione attuale è il frutto anzitutto dei troppi anni in cui i soci si sono famelicamente distribuiti enormi dividendi provenienti da utili che sono stati prodotti attingendo alle riserve, lesinando sugli accantonamenti, profittando delle plusvalenze delle dismissioni o addirittura, lo scorso anno, distribuendo i benefici fiscali. Un comportamento avido che, per certi versi, ci accomuna alle altre imprese bancarie, ma che ora viene censurato dalle autorità di vigilanza per la pericolosità di un indebolimento patrimoniale in presenza della situazione di crisi. Nel caso del Monte, l’indebolimento lo ha anche costretto ad affrontare l’acquisto Antonveneta senza avere risorse proprie, ricorrendo ad un aumento di capitale di ben 5 miliardi e a debiti i cui interessi cominciano a pesare sui risultati economici.
Tra chi detiene il potere di decidere, non emerge alcuna autocritica né una consapevolezza della vera portata dei problemi e le voci preoccupate, politicamente ancora limitate alle Liste Civiche ed alla Lega Nord, sono ancora occultate per quanto possibile. Anche l’intervento in assemblea del Presidente Mancini, che per la prima volta non ha evitato i crudi dati e ha fatto capire che risultati come quelli del 2009 saranno inaccettabili nel futuro, invitando a migliorare la redditività ed il rapporto con la clientela, è stato accolto con malcelato fastidio. I sindacati del Monte l’hanno addirittura trattato come un socio esoso, attento solo al guadagno immediato e che si occupa di ciò che non gli compete. Della serie: guai a disturbare il manovratore.

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